Storia di un vaginismo superato

Storia di un

vaginismo superato

Mi è piaciuta da subito l’idea di parlare di vaginismo attraverso un’intervista. La persona che risponde alle domande seguenti è una ragazza, che ha vissuto il fustrante disagio del vaginismo e che è riuscita a superarlo attraverso un percorso terapeutico, psicologico e sessuologico, ma soprattutto attraverso la sua capacità di mettersi in gioco e scavare dentro se stessa. Questa testimonianza è importante per tutte quelle persone che ne soffrono e che pensano di essere sole e non poterne uscire. Lei è qui per dirci che il vaginismo è un ostacolo che può essere scavalcato!

Vi auguro buona lettura.

– Come stai? Com’è per te raccontarti? 
Ciao! Sono molto contenta di partecipare a questa intervista e di poter aiutare. Era tempo che desideravo farlo. Per come sono fatta io, avendo affrontato un lungo percorso terapeutico, sia per questioni sessuali che per ragioni di altro tipo, trovo che sia sempre utile condividere le esperienze. Ti fa sentire meno solo. Da quando ho concluso la terapia, raccontare come mi sento è diventato sempre più facile. Mi rendo conto ora che prima tendevo a riportare solo un parte o addirittura delle falsità circa il mio stato d’animo, per aggirarle, non affrontarle. Ora è diverso. Cerco di affrontare la realtà sempre, anche duramente, perché non sopporto più l’idea di perdere tempo e di stare male.
– Cos’è per te il vaginismo? E quando hai iniziato a soffrirne?
 
Il vaginismo è una condizione che mi ha accompagnata per tanto tempo.
La prima parola che mi viene in mente quando penso a quel periodo è FRUSTRAZIONE. Un’enorme terrificante frustrazione. Il mio percorso è stato una lunga e difficile nebulosa. Non avevo subìto traumi di tipo violento, né ricevuto un’educazione bigotta o eccessivamente rigida. Non avevo problemi di tipo fisico o ormonale o uno scarso desiderio sessuale. Ero una ragazza normale, oltretutto molto aperta verso la sessualità. Quando avevo quindici anni sono arrivata alla mia prima esperienza sessuale, ma sul più bello, ho avvertito una chiusura totale.
Dopo quel momento ho avuto altre occasioni di arrivare al rapporto completo, ma appena sentivo tensione muscolare, evitavo di provarci, per paura di non riuscirci e di doverlo spiegare al ragazzo di turno.
– Ti va di raccontarmi quali erano i tuoi pensieri quando ne soffrivi?
 
Avevo un rifiuto totale di esplorarmi o lasciarmi esplorare internamente. Mi sentivo anormale, come se non avessi avuto una vagina. Naturalmente, a livello razionale, sapevo che questo non era possibile, ma in quei momenti l’ansia raggiungeva un livello davvero incontrollabile. Avvertivo un automatico senso di allarme, di panico. Non riuscivo a fare sesso, né ad infilarmi un dito. Avevo timore anche dei tampax.
Eppure non avevo alcun problema con la sessualità “esterna”, clitoridea. Avevo ricordi anche molto remoti di essermi masturbata fin da bambina. Mi toccavo e mi lasciavo toccare, finchè si rimaneva esterni alla vagina, e in quel modo raggiungevo l’orgasmo senza problemi.
A 17 anni ho avuto il mio primo ragazzo serio e mi sono innamorata. Non potevo escluderlo dal mio problema, lo avrei perso. Destino ha voluto, però, che anziché aiutarmi a superarlo, questo ragazzo ne sia diventato complice, forse perché anche lui aveva qualche problemino e gli faceva comodo metterlo da parte. Siamo diventati una coppia “bianca”, che non faceva sesso penetrativo, e lo siamo stati per tutti e sei gli anni del nostro rapporto. Anche quando la relazione ha cominciato a deteriorarsi, per altri motivi, io mi sentivo a disagio all’idea di lasciarlo, perché egoisticamente pensavo che non avrei mai più trovato nessun altro altrettanto paziente o disposto a rinunciare alla penetrazione con la stessa naturalezza con cui l’aveva fatto lui. È stato il periodo più brutto in assoluto. Dopo sei anni di relazione, in ogni caso, mi sono decisa e l’ho lasciato.
– Riuscivi a parlarne con qualcuno della tua difficoltà? Ti sei sentita compresa e accolta?
No. Finché non sono andata dalla psicologa ho tenuto la cosa per me.  Mi vergognavo di essere diversa, di non poter parlare liberamente di sesso come tutti gli altri. Così “fingevo”: le mie esperienze sessuali parziali nei racconti le trasformavo in rapporti completi. Mi sentivo in buona fede, alla fine non è che mi stessi inventando fidanzati immaginari.
Dopo un po’ però ho cominciato a sentire il bisogno di confidarmi davvero con qualcuno, ma il ragazzo di cui parlavo prima mi aveva fatto giurare di non dirlo a nessuno. Come uomo, non voleva che gli altri sapessero che lui non fosse in grado di prendere la situazione in mano, ovviamente, però avrei avuto davvero bisogno di confrontarmi almeno con un’amica, qualcuno di fidato, che non ci avrebbe giudicati.
– Quand’e che hai deciso che era il momento di iniziare un percorso terapeutico? In che modo ti ha aiutato?
Quando avevo 19 anni ho deciso che era arrivato il momento. Il percorso terapeutico è stato lungo e tortuoso. Inizialmente mi sentivo scettica riguardo l’efficacia della terapia, poi pian piano ho cominciato ad apprezzarla fino a non riuscire più a farne a meno. La psicologa mi ha aiutato a capire meglio il mio corpo, ha esplorato insieme a me i miei ricordi, i piccoli traumi che potevano essere la causa del mio problema, e l’ha fatto senza quasi mai usare il termine “vaginismo”, perché sapeva che mi avrebbe terrorizzato. Non sopportavo l’idea di avere un problema. Continuavo a dirmi “perché proprio a me?”, ci sbattevo la testa continuamente. Dalla terapia è emerso che le ragioni del mio vaginismo risiedevano in un’antichissima ansia di abbandono, che a causa di complessi meccanismi di autodifesa era sfociata in una completa sfiducia di ciò che è esterno, sconosciuto, fuori dal mio controllo. E il sesso è proprio questo, in un certo senso. Una perdita di controllo, un abbandonarsi. Unito a questo problema, ho dovuto anche affrontare una gigantesca conflittualità verso il “maschile”, dovuta al rapporto difficile con mio padre e alle influenze negative del rapporto di coppia disfunzionale dei miei genitori.
Tutto questo è stato fondamentale per capire meglio me stessa e il mio problema, eppure ci ho messo comunque anni a risolvere il vaginismo. Avevo bisogno di un approccio più pratico. La terapia non bastava. La svolta è arrivata quando la mia ginecologa mi ha consigliato una crema vaginale utile a rilassare i muscoli pelvici. Dopo sole due settimane di applicazione quotidiana, ho finalmente avuto il mio primo rapporto sessuale completo con un nuovo ragazzo.
– Come stai ora rispetto alla tua sessualità?
Adesso ho 26 anni e vivo la mia sessualità in maniera direi perfetta. Dopo la primissima volta che sono riuscita, non ho avuto più alcun tipo di problema. Il primo passo è bastato per mettere in fila anche tutti gli altri. Sono anche riuscita fin da subito a raggiungere l’orgasmo. L’ho vissuto come un miracolo. Come spesso succede, adesso che ne sono fuori, guardo al passato con incredulità, mi sembra assurdo aver vissuto in quel modo.
– Cosa vorresti dire a chi ne soffre e non sa come uscirne?
Innanzi tutto, che è un argomento di cui si parla troppo poco. Per qualche motivo, il sesso è sempre “uomocentrico”, e le donne rimangono troppo spesso delle protagoniste passive. Tutti sanno cos’è la disfunzione erettile o l’eiaculazione precoce, eppure quasi nessuno conosce il vaginismo. Sarebbe molto diverso se l’argomento fosse sdoganato, perché (come direi a chi ce l’ha) la percentuale di donne che convive con il vaginismo è piuttosto alta, e a me sarebbe servito sentirmi parte di qualcosa di normale, o quantomeno di universalmente riconosciuto e accettato, invece mi sembrava di avere un handicap irrisolvibile.
A chi ne soffre direi inoltre che si può guarire. Io ero scettica, credevo che me lo sarei portato avanti fino alla tomba, non esagero. Mi avrebbe fatto bene parlare con donne che ne erano uscite. Un’altra cosa fondamentale da ricordare è che non bisogna mollare mai. Non ci si deve abituare al malessere, altrimenti diventa l’unica realtà conoscibile e si può arrivare quasi a scordarsi di avere un problema. Io ho fatto l’errore di lasciar perdere, di abituarmi a vivere la mia sessualità a metà per anni perché avevo paura di fallire, ma è come scegliere deliberatamente di camminare su una sola gamba anche se ne hai due. Bisogna solo impegnarsi e imparare ad usarle entrambe insieme.

Per questo disturbo e per tutti gli altri (Disturbi dell’identità di genereAnorgasmia femminileDisturbo dell’eiaculazione maschileDisfunzione erettileDisturbo dell’eccitazione femminileDisturbo del desiderio)  è importante non sentirsi soli e comprendere che ci sono dei professionisti competenti e pronti ad aiutare, poichè se il disagio è psicologico è anche superabile attraverso un percorso impegnativo ma soddisfacente. Tutti si meritano di vivere la sessualità in modo libero e sereno.

Per avere una panoramica più ampia rispetto ai disturbi sessuali e alla sessuologia clinica contemporanea, potete guardare la mia intervista per Medicina Regione Lazio presso Radio Roma Capitale.

Per informazioni:
Dott.ssa Veronica Cicirelli – Psicologa, Psicosessuologa.
💌 veronica_cicirelli@hotmail.it
☎ 3775374456

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