Il Travestitismo: il paradosso della maschera

Il Travestitismo: il paradosso della maschera

                         “Molte volte non mi riconosco, cosa che accade spesso a coloro che si conoscono. 

                                  Assisto allo spettacolo di me stesso  nei vari travestimenti in cui vivo”

                                                                                                                                            Fernando Pessoa

                                                                                                                                              

                                       

Il travestimento nel passato

Ippocrate fu il primo a considerare l’uso del travestirsi e a parlarne. La diagnosi medica di travestitismo fu invece impiegata per la prima volta nel 1925 dal sessuologo tedesco Hirscfeld che ipotizzava una condizione intersessuale ben diversa dall’omosessualità. Solo in tempi recenti, intorno agli anni ’30, la classe medica ha saputo stabilire la differenza fra la forma autentica del travestitismo, l’abitudine a travestirsi di alcune persone omosessuali e l’uso di abbigliamento tipico del sesso opposto delle persone transessuali.

Anche gli antropologi si sono interessati al travestitismo, considerando la sua diffusione nelle società primitive, in cui rivestiva il ruolo di rito iniziatico, e in quelle manifestazioni culturali che si muovono intorno alla maschera. La gioia di travestirsi è così comune ad ogni epoca, civiltà e latitudine, da dimostrare la sua origine antica e la motivazione profonda. La cultura ha favorito e ufficializzato le usanze nelle quali si pratica il travestimento. Esemplari quelle del Carnevale, dove vengono infranti i tabù e le regole del costume, per cui gli uomini si vestono da donne e viceversa.

 

Il travestimento oggi

Oggi si tende ad utilizzare anche l’espressione cross-dressing (inversione d’abbigliamento) includendo in essa una successione più ampia di comportamenti non necessariamente patologici: il cross-dresser apre la strada ad una libera elezione degli abiti dell’altro sesso, identificandosi in un diverso modo di vivere, sfidando le canoniche nozioni di binarismo e mettendo in discussione le categorie di maschile e femminile.

Un dettaglio non poco importante riguarda proprio il termine in questione: “travestitismo”; questo termine infatti riduce e giudica la complessità dell’esperienza parafiliaca, dando un’interpretazione riduzionistica. Adducendo che la persona si travesta, si da per scontato che la persona si stia mascherando, nascondendo la sua identità. Una visione che giustificherebbe l’ambiente, minacciato da questo imbroglio, nel guardare con sospetto e diffidenza la persona che ne fa esperienza. Il paradosso è che in realtà la persona che pratica travestitismo, usa il travestimento come espressione di sé, dando spazio ad un’identificazione che mantiene nascosta la maggior parte del tempo.

 

Cosa si intende per travestitismo?

Quando si parla di travestitismo si intende il piacere di abbigliarsi con abiti del sesso opposto, atteggiandosi di conseguenza; comune nei bambini, questo piacere continua anche nell’età adulta. Nell’ambito parafiliaco, spesso il travestitismo ha una componente feticistica, nella quale l’eccitazione è primariamente legata all’abito (che comprende toccarlo, guardarlo, osservarsi mentre lo si indossa). In questa forma può essere sperimentato come un momento individualistico e solitario, accompagnato dalla paura e dalla vergogna di essere scoperto. Perciò è tenuto lontano da ogni forma pubblica e relazionale. In questa forma, il travestitismo assume la sua caratteristica di espressione di un’identificazione con il genere opposto al proprio.

Di solito la persona con feticismo da travestimento colleziona gli indumenti dell’altro sesso che di tanto in tanto utilizza per travestirsi; alcuni inseriscono una sola parte dell’abbigliamento feticistico sotto il loro abito “ufficiale”, altri invece utilizzano tutto l’abbigliamento feticistico. Il capo prescelto si trasforma in oggetto erotico che la persona utilizza sia per la masturbazione che, qualora ci fosse, nel rapporto sessuale.

Lo stimolo a travestirsi può cambiare nel tempo, in maniera temporanea o permanente, con diminuzione o scomparsa dell’eccitazione sessuale in seguito al travestimento. In molti casi il travestirsi diventa un antidoto contro l’ansia o la depressione.

Il travestitismo è attribuito a persone, generalmente uomini, che esprimono in questo modo il loro desiderio transgender, e infatti è stato coniato il termine “travestito” per identificare questa espressione. La cosa interessante è che in realtà le persone che si travestono, riportano di sentirsi travestiti quando indossano gli abiti del sesso a loro attribuito dalla società e dalla biologia, ma si sentono a loro agio quando indossano gli abiti che permettono loro di esprimere l’identità in cui si riconoscono.

“Il termine ‘travestito’ ha acquistato un’accezione negativa in quanto collegato alla prostituzione e l’intero fenomeno del travestitismo finisce per rappresentare la perversione per eccellenza, come ben illustra il termine portoghese ‘viado’, che deriva dalla parola ‘transviado’ che vuol dire pervertito” (Pizzimenti, Bellini, 2022).

 

Quando e come si esprime?

Il fenomeno del travestitismo si verifica fin dall’infanzia o nell’adolescenza ed è legato ad un’espressione di sé con un’identificazione altra da sé. Causa quasi sempre alla persona delle esperienze negative, traumatiche, dolorose, poiché diventa una novità emergente nella vita della stessa, costretta ad assimilare con difficoltà questa realtà con quella rigida e disprezzante del violento rifiuto sociale e familiare. Se questa novità viene assimilata, entra a far parte di me, può essere integrata e rende armonica e fluida l’espressione del sé; se questa novità non può essere assimilata, per esempio per intervento punitivo dell’ambiente (familiare, sociale o culturale) allora l’espressione di sé probabilmente sarà disarmonica e dissociata.

Se la scissione è ben tollerata, per esempio la persona riesce ad avere una vita “ufficiale” ricca e soddisfacente e poi una “ufficiosa” altrettanto ricca e soddisfacente, senza che questa doppia identità generi sofferenza, a quel punto non si dovrebbe parlare di parafilia ma solo di una diversa espressione della sessualità. Se invece purtroppo come spesso accade, questa doppia espressione è condizionata dai giudizi negativi che la persona ha introiettato, svilupperà comportamenti reattivi, ovvero automatici, ripetitivi e non sentiti, sperimentati per evitare le l’ambiente percepisca la sua paura. Spesso questi comportamenti reattivi sono visti dall’ambiente come aggressivi e provocatori, generando ancora più disprezzo e violenza nei confronti della persona, innescando un meccanismo che sostiene l’emarginazione e l’esclusione.

 

La terapia come sostegno nel mondo:

L’intervento terapeutico dovrebbe perciò mirare prima di tutto a sanare le esperienze traumatiche vissute dalla persona e in secondo luogo potrà sostenere contemporaneamente il senso di appartenenza alla comunità e l’unicità dello sviluppo della persona.  L’appartenenza ad un gruppo di persone che vive ciò che vive l’individuo è fondamentale per lo sviluppo identitario: l’appartenere a gruppi di simili è una risorsa e non una chiusura.

È la possibilità che ci diamo per vivere l’esperienza del riconoscerci nello sguardo altrui, per sentirci a nostro agio nei nostri panni, per rafforzarci.

È lo scoprire di non essere soli, perché non siamo gli unici a vivere quell’esperienza così specifica. “la scoperta di appartenere a soggettività plurali, rappresenta un’occasione di crescita, è una ricchezza, anche una resilienza, che ci accompagna nel vivere l’appartenenza a un gruppo di minoranza senza escludere mai un’appartenenza più ampia (…) Il passaggio sarà da: “Mi travesto perché così sono in grado di reggere lo scontro col mondo” a “Questo non è un travestimento, sono io ed intorno a me ho tutto il sostegno che mi serve per essere me nel mondo“.(Pizzimenti, Bellini, 2022).

Nella sicurezza dell’ambiente terapeutico quindi, la persona potrà sperimentarsi nell’influenzare l’ambiente e farsi influenzare da esso, esplorando un’altra sessualità senza che questo diventi una sconfitta del sé. In questa situazione, l’identificazione con l’altro deve essere un processo lento che permetta all’ambiente di cambiare intorno a questa trasformazione, con la presa di responsabilità della persona.

 

Per avere una panoramica più ampia rispetto ai disturbi sessuali e alla sessuologia clinica contemporanea, potete guardare la mia intervista per Medicina Regione Lazio presso Radio Roma Capitale.

Per informazioni:
Dott.ssa Veronica Cicirelli – Psicologa, Psicoterapeuta, Psicosessuologa.
💌 veronica_cicirelli@hotmail.it
☎ 3775374456

Risultato immagini per icona instagram Psicosessuologia_online  Risultato immagini per icona facebook Dott.ssa Veronica Cicirelli – Psicologa