Ruolo, mansioni e competenze psicologiche delle tate

Ruolo, mansioni e competenze psicologiche delle tate

 

La figura della tata è da decenni presente e fondamentale in molte famiglie, nonostante il suo lavoro spesso non venga considerato una vera e propria professione. La tata è una persona che si prende cura di bambini non suoi garantendo ai genitori attenzione verso il benessere generale dei loro piccoli. È un ruolo fondamentale nel panorama attuale, poiché madri e padri sono sempre più impegnati nel mondo del lavoro e non hanno il tempo e le possibilità di occuparsi dei propri figli, perciò devono delegare le loro mansioni di cura ad altre persone.

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Ruolo e mansioni

La figura della tata può avere delle valenze positive perché introduce nel mondo esperienziale del bambino un incontro “ravvicinato” con una persona diversa da quelle appartenenti al mondo “familiare”. In tal senso il “mondo esperienziale” e la sua personalità rappresentano per il bambino un’occasione di esperire una nuova relazione (e pertanto la possibilità di esperire nuovi affetti, nuove emozioni) che in quanto tale può risultare arricchente perché stimola il suo mondo esperienziale. Infatti, la presenza della tata “segna” l’assenza dei genitori ma al tempo stesso “la ripara”.

Breese e Gomer (2000) descrivono la tata di oggi come una persona che garantisce, nella cura dei bambini, che siano nutriti emotivamente, fisicamente e intellettualmente; è descritta come una persona che viene pagata per prendersi cura dei bisogni dei figli del suo datore di lavoro nell’abitazione della famiglia.

La bravura e la capacità della tata non possono certo cancellare il problema del distacco dalla mamma, tuttavia spesso il piccolo si affeziona intensamente a questa figura, specie se la mamma ha saputo presentargliela gradualmente come una persona amica. I vantaggi di avere una tata in famiglia sono diversi: 1) Un sostegno maggiore per i genitori, infatti gli orari degli asili spesso non permettono alle mamme e ai papà di organizzarsi a causa di tempi poco flessibili, mentre una tata può aiutare la famiglia allungando il proprio orario di lavoro su richiesta. 2) Un rapporto privilegiato con il bambino, infatti il piccolo riceve tutte le attenzioni su di se senza dover condividerle con altri bambini, questo crea un legame d’affetto e di fiducia tra i due. 3) Spesso i nonni svolgono la mansione di babysitter, ma il vantaggio di avere una tata è il fatto che non sia legata al piccolo da un vincolo affettivo così intenso quanto i nonni e riesce ad essere più razionale, meno emotiva e più obiettiva nell’accondiscendere o meno alle richieste dl bambino (Ferrari 2012).

Inoltre è stata messa in atto una ricerca da parte di due psicologi, Smith e Noble, che hanno osservato per svariati mesi un folto gruppo di bambini di circa un anno e mezzo e le loro tate. Questi due psicologi hanno dimostrato che sebbene i bambini preferissero la compagnia della madre, la maggior parte di loro, ovvero il 70%, si abituava rapidamente alla babysitter e si affezionavano molto a questa figura che diventava per loro un punto di riferimento. Il 20% dei bambini aveva bisogno di un tempo maggiore per abituarsi al cambiamento e solo il 10% rimaneva inquieto per tutto il periodo di tempo trascorso con la tata (Oliverio, Sarti 2005).

La tata ieri e oggi

Vediamo ora com’è nata questa figura e come si è evoluta nel tempo: fino agli inizi del ‘900 era abitudine nelle famiglie più agiate, affidare il neonato ad una balia, ovvero un’altra puerpera pagata affinché provvedesse all’allattamento e all’accudimento del bambino. Si trattava quindi di una sorta di madre surrogata a cui le signore di buona famiglia si rivolgevano per diversi motivi, come per evitare che l’allattamento avesse ripercussioni negative sull’aspetto del corpo delle madri oppure per il decesso, malattie o mancanza di latte delle madri. Un’altra figura come la balia che fa da antenata alla tata di oggi è la nutrice, i cui compiti cominciavano propriamente dopo lo svezzamento; le mansioni comprendevano la cura e l’educazione del bambino. Nel 18° secolo è nato il termine tata che strada facendo è diventato sempre più utilizzato andando a sostituire quello di balia e nutrice. Sebbene fosse abituale che le tate vivessero a casa dei datori di lavoro, esse avevano una loro sistemazione nel piano in cui c’erano le camere dei bambini; il piano diventava di proprietà della tata e doveva condividerlo solamente con i piccoli, le tate non pulivano, non cucinavano, non facevano la spesa o aprivano la porta, non dovevano far altro che occuparsi di tutto ciò che riguardasse i bambini. Fare la tata era vista come una vocazione; le tate facevano esperienza con l’andare e venire delle famiglie in cui lavoravano e da cui derivano grandi soddisfazioni dagli sviluppi del loro lavoro nel corso degli anni. (Menghetti, 2014). In Italia abbiamo dei documenti che testimoniano l’importanza di questa figura d’accudimento e le caratteristiche non solo fisiche come nel caso della balia, ma anche morali, con descrizioni minuziose e specifiche; infatti si credeva che la nutrice a stretto contatto con il bambino di cui si prendeva cura, potesse passargli i propri vizi e le proprie virtù, perciò era importante scegliere con grande attenzione la nutrice con le qualità necessarie per crescere ed educare i bambini (Toccoli, 1836).

Arrivando alla figura della tata oggi, esistono dei parallelismi interessanti tra le figure di accudimento del passato e quelle del presente, infatti spesso le dinamiche sociali e le necessità dei genitori sono le stesse a distanza di millenni e di secoli; per esempio come nel caso delle famiglie agiate Romane che sceglievano nutrici greche per insegnare la lingua greca ai loro figli, e richiedevano espressamente a queste ultime di parlare solamente la loro lingua con i piccoli, allo stesso modo oggi le tate madrelingua vengono scelte dalle famiglie per far apprendere ai propri figli un’altra lingua. È da notare come nel corso dei tempi le esigenze siano le stesse e si ripropongano certi processi educativi, come nel caso sociale delle balie che per necessità economiche a causa della povertà, erano costrette ad abbandonare la propria prole e a prendersi cura dei figli degli altri in altre città o addirittura altri Paesi, anche oggi la situazione è la medesima, infatti le donne dei paesi del terzo mondo o in generale quelli colpiti dalla povertà e da situazioni economiche in crisi, sono indotte a lavorare come tate nei paesi più ricchi in famiglie che possono pagare dei buoni stipendi da spedire a casa ai propri figli, i quali però sono destinati a non ricevere le cure materne a causa della lontananza.

Le competenze psicologiche

Le tate per eseguire al meglio il loro lavoro devono incrementare le loro competenze di carattere teorico, che potrebbero essere definite anche complessivamente culturali poiché riguardano le dimensioni culturali, sociali e psicologiche, le competenze tecniche ovvero quelle riferite ai campi di attività pratiche che svolge con i bambini, le competenze pedagogiche, le quali sono definite più correttamente anche interazionali poiché riguardano le capacità di gestire modalità operative riguardanti i processi di comunicazione, e le competenze gestionali.

Lo sviluppo della relazione con il bambino

Come ogni relazione anche quella tra la tata e il bambino ha un inizio e un continuo in cui si intrecciano gli investimenti emotivi dei due poli; a differenza di altri rapporti però, quello tra la tata e il bambino di cui si prende cura, ha sempre una fine, e ciò accade per diversi motivi, possono dipendere dalla famiglia, come per esempio il fatto che il bambino sia cresciuto e non abbia più bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui globalmente, oppure i genitori sono costretti a trovare un’alternativa alla tata come le scuole, i nonni o altre persone a cui affidare il piccolo; ma il distacco può dipendere anche da motivi personali della tata.

Per quanto riguarda il primo approccio quando la tata entra in contatto con il bambino, deve essere consapevole di dover entrare in punta di piedi nella vita del piccolo e di avere un ruolo soggetto a mutamenti rispetto ai suoi diversi bisogni. Durante i primi incontri la tata deve sapersi avvicinare al bambino senza invadere i suoi spazi e attendendo che sia lui stesso a concederglieli e ad accordargli le libertà che preferisce, in modo da permettere al bambino di abituarsi all’idea che una persona “nuova” entri a far parte della sua vita quotidianamente. È importante che inizialmente sia presente una figura di riferimento come un genitore o qualsiasi persona che il bambino riconosca come significativa. Con il tempo la tata stessa costituirà un punto di riferimento importante per il piccolo e per la sua costruzione dell’identità, con una particolare attenzione per l’acquisizione di competenze di tipo affettivo-emotivo e metacognitivo. Nel momento della prima conoscenza è importante che la tata rassicuri il bambino con la sua presenza, in particolar modo nei momenti di transizione quali l’addormentamento/risveglio e l’entrata/uscita in casa. È fondamentale che la tata non insista nel voler stabilire un contatto forzato con il bambino, processo che potrebbe essere comune a causa di inesperienza o ansia eccessiva, è sempre più utile non pretendere di conquistare il bambino nell’immediato, ma dargli del tempo per familiarizzare con la nuova figura di accudimento; questo perché il bambino non abbia l’impressione di essere abbandonato a tradimento dai genitori: in quel caso potrebbe sentirsi ingannato e avrà la tendenza a non fidarsi più quando si ritroverà nella stessa situazione (Catarsi, 2000).

La natura intima della relazione tra bambino e tata richiede una profonda esplorazione, infatti l’intimità del rapporto influisce sulla vita di entrambi; di fatto questa professione comprende una serie di mansioni e una varietà di compiti che concernono la vicinanza fisica ed emotiva, e ciò include anche il conoscere l’ambiente e il mondo del bambino, arrivando ad osservare e ricavare tutte le informazioni private e personali della famiglia. Nascono così i segreti, i riti e la routine tra tata e bambino, qualcosa che riguarda solo loro due, riconoscendo nell’altro i punti deboli e i punti di forza, e identificando la condivisione di memorie e ricordi comuni (Boris, Parrenas, 2010).

C’è un investimento emotivo non indifferente da parte di entrambe le parti, quella della tata e quella dei bambini di cui si prende cura; la tata viene a contatto con l’intimità delle famiglie e spesso queste lavoratrici vivono sotto lo stesso tetto della famiglia in cui lavorano, ma sono pagate per svolgere mansioni perciò non sono propriamente membri della famiglia nonostante vengano trattate come tali. Questa distinzione è difficile da mantenere poiché la posizione assunta dalla tata è complessa dal punto di vista relazionale, infatti i confini emotivi sono molto ambigui da comprendere, soprattutto per un bambino: anche se lavorano all’interno della famiglia, non sono familiari. Il loro lavoro è intrinsecamente personale a causa del contatto e del rapporto che instaurano con i membri della famiglia, ma è un rapporto in ogni caso asimmetrico, è un’intimità modellata dalla gerarchia del contesto sociale in cui spesso si confermano le differenze di razza, genere e classe. (Hondagneu, Sotelo, 2003).

La fine di un rapporto è sempre dolorosa in qualsiasi ambito, a maggior ragione se coinvolge dei bambini. Lo scopo fondamentale durante la fine della relazione tra tata e bambino è far vivere la situazione nel modo più sereno possibile ad entrambi, ma quando ciò non avviene i bambini reagiscono diversamente al distacco anche in base alle fasi di sviluppo. Dai 0 ai 3 anni per esempio i bambini registrano non tanto i contenuti, ma l’intensità emotiva. Le emozioni non elaborate tendono a manifestarsi attraverso il registro psicomotorio, ad esempio sintomi di malessere fisico, incubi, disturbi del sonno o inappetenza. I bambini dai 3 ai 6 anni sono in grado di utilizzare il registro linguistico e tendono a legarsi maggiormente. Tuttavia, non sono in grado di comprendere l’evento separativo. Possono sentirsi responsabili dell’accaduto, diventare molto introversi, oppure manifestare atteggiamenti di aggressività e ribellione. Dai 6 ai 10 anni si sviluppa una maggiore consapevolezza del fatto che la tata non può più seguirli ed accudirli ed è più difficile incorrere in conseguenze negative. Per non incorrere nelle conseguenze negative la comunicazione dell’allontanamento dovrebbe essere fatta dai due genitori insieme con la tata presente, a rimarcare che è salvaguardata la continuità del legame che c’è tra tutti gli attori della dinamica relazionale. Tale comunicazione deve avvenire quando i tempi sono maturi e pertanto quando la decisione è stata presa con certezza. Il sapere che è possibile parlare liberamente è il primo passo che consente al bambino di esprimere le proprie emozioni e all’adulto di riconoscerle e farle riconoscere. Il bambino deve sapere che la sua tata non ha cambiato il sentimento che prova nei suoi confronti, ma che ci sono dei cambiamenti in atto che lui deve accettare (McDonald, 2010).

La relazione con le figure genitoriali

La riorganizzazione delle famiglie odierne ha prodotto una grande richiesta di assistenza all’infanzia, e ciò sottintende la nascita di legami e rapporti che si vanno a creare non solo tra tata e bambino ma anche tra la tata e i genitori del bambino (Ehrenreich, 2004); questa relazione può avere diverse sfumature, positive o negative, e sta ad entrambe le parti scegliere come impostare ed equilibrare il rapporto, in funzione di un bene più grande, ovvero il benessere dei bambini.

I datori di lavoro spesso possono anche sentirsi particolarmente legati alle loro tate. La relazione altamente intima nata dalla condivisione di una routine quotidiana nella sfera privata della casa genera un legame emotivo e personale. Ciò rappresenta un indice positivo nel rapporto tra tate e famiglie nel momento in cui si riescono a mescolare culture diverse e a integrarle e apprezzarle a vicenda, mostrando ai bambini come sia possibile convivere con persone che nonostante non siano membri della famiglia, diventano “persone di famiglia” a tutti gli effetti. L’idea di base è che una madre è sempre una madre, non importa dove, come se il concetto di maternità fosse più legato alla natura che alla pratica culturale. Ciò non significa che madri e tate non notino alcuna differenza tra loro, ma si arrivano a considerare gli aspetti comuni dell’educazione piuttosto che sottolineare le potenziali differenze (Parreñas, 2001). Le madri datrici di lavoro che istituiscono un rapporto paritario con le loro tate, dando loro risorse adeguate e fiducia hanno ottenuto delle tate soddisfatte del loro posto di lavoro che tendono a non abbandonare il posto di lavoro; questo stile di gestione è definito “partnership management”, ovvero “gestione con collaborazione”, poiché il datore di lavoro gestisce la relazione con il lavoratore in modo egualitario e collaborativo. Pertanto il forte attaccamento ai bambini e alla famiglia può anche creare sentimenti di soddisfazione e ricompensa per la tata. Queste emozioni possono influenzare la tata in modi diversi, per esempio, sulla correttezza e la sincerità nella gestione del lavoro nel momento in cui deve lasciare l’incarico, infatti persone insoddisfatte e frustrate tendono a lasciare le famiglie senza preavviso inventando scuse e lasciando in seria difficoltà l’intero nucleo, mentre tate soddisfatte e gratificate dal rapporto con la famiglia tendono ad avvertire con grande preavviso poiché hanno la sicurezza di essere comprese e accolte nella loro decisione, qualsiasi sia il motivo dell’abbandono (Wharton, 2009).

Se quelli appena descritti sono aspetti funzionali della relazione, esistono anche delle dinamiche disfunzionali, infatti ci sono autori che attirano l’attenzione sui rischi della totale delegazione dei ruoli genitoriali a una tata live-in. Friedman (2010) correla questa situazione all’aspetto dei successivi disturbi della personalità del bambino. I ragazzi possono diventare adulti libertini, cercando di ottenere soddisfazioni immediate nei rapporti con le donne, in quanto crescono con l’impressione che ci sia sempre un’altra donna che soddisfi i propri bisogni (la tata live-in incarna questo concetto, suggerendo che la madre, e più tardi la moglie, non bastano). D’altra parte, le ragazze coinvolte e cresciute in questo sistema sentiranno un bisogno non soddisfatto di affetto che possono soddisfare nella vita adulta da alcool, droghe, sesso. Un modo per prevenire tali risultati disfunzionali è quello di garantire una solida valutazione professionale e anche una formazione standard secondo le competenze sia generali che specifiche. Ciò favorirebbe la costruzione di un ambiente educativo favorevole allo sviluppo di una personalità armoniosa del futuro adulto (Friedman, 2010). È utile citare anche il problema disfunzionale della gelosia, uno dei più frequenti nel rapporto tra madre e tata, infatti sostituendo i genitori in tutto e per tutto anche a livello affettivo, i bambini si affezionano molto alla loro tata, che è presente per loro tutto il giorno e tutti i giorni spesso per anni, gli anni dell’infanzia in cui si costruisce l’attaccamento. Spesso questo attaccamento tra bambino e tata genera una forte gelosia da parte dei genitori, soprattutto della madre, che vede il bambino adorare un’altra persona che non sia lei e impulsivamente non analizza realisticamente la situazione, ragionando sul fatto che sia inevitabile che il bambino vedendo continuamente questa figura diventi un riferimento importante nella sua vita, e non possa fare a meno di volerle bene. La gelosia è un sentimento del tutto normale, che la madre proverà, da qui in avanti, di fronte a ogni cambiamento nella vita del suo bambino. Prima sarà disposta a riconoscerlo, prima sarà più facile per lei lasciare che altre persone entrino positivamente nella sfera affettiva del figlio (Piccini, Bavestrello, 1996). Il triangolo madre, bambino e tata è ben più complesso di quanto possa sembrare. Perché la tata si inserisce in quello spazio psicologico, delicato e complesso, che è la relazione della diade madre-bambino. Del resto l’esperienza emotiva, relazionale ed esistenziale che suscitano la nascita e l’accudimento di un figlio, oltre che gioia è anche ansia, disorientamento, stanchezza, spesso solitudine. Un altro errore, quello più facile e a portata di mano, deriva dalla sperimentazione del sollievo che la madre riceve nel momento in cui interviene la tata. Con l’arrivo di quest’ultima, la madre si riprende un po’ di tempo per sé, per la casa e mentalmente si ritrae dall’area di caos emotivo in cui si era venuta a trovare. Il rischio in agguato è quello di “lasciarsi andare” e “fare uso” della tata, anziché come aiuto momentaneo, nell’accudimento del bambino (da effettuare sempre con la compartecipazione attiva della madre e sotto la sua guida e responsabilità), come un trasferimento di ruolo e di problemi. L’aiuto che la tata fornisce, infatti, può essere vissuto e usato dalla madre come una terapia che dà sollievo, alleggerisce dalle angosce e schiarisce il panorama caotico nel quale si trova a vivere. La tata diventa come una medicina, della quale più passa il tempo, più non riesce a farne a meno. Quando questa situazione si installa definitivamente all’interno della relazione, madre e figlio si allontanano fra loro sempre di più: il figlio cresce assieme alla tata e va avanti, distanziando la madre che rimane, invece, indietro. Quando ci si relaziona con un bambino, si ha a che fare con una grande mobilitazione di emotività, si accendono le inclinazioni materne e le affettività più primordiali, che ogni donna ha; tale esperienza, può attivare un meccanismo capace di indurre la tata alla propria destabilizzazione e ad agire acting-out difensivi (autolicenziamento, far nascere un bambino proprio o al contrario cominciare a prendere la pillola anticoncezionale). L’erroreinvece più comune nel lavoro della tata consiste nel sostituirsi alla madre, sia perché sollecitata dalle richieste ed esigenze del bambino, sia per l’eventuale delega che la madre, in maniera invisibile, sottoscrive. Questi errori possono deteriorare il rapporto madre-figlio e la sfera affettivo-emotiva della tata (Mendicino, Ceccarelli, 2015).

Le competenze relazionali per la costruzione di una relazione sicura

La tata certamente deve fare i conti con le proprie emozioni durante la sua professione ma quando è con il bambino è necessario mantenere un certo controllo e impegnarsi nella regolazione di certi stati emotivi; infatti quando si prende cura dei bambini la tata deve essere confortante, amorevole e protettiva, nonostante possa capitare di essere irritati o ansiosi per situazioni personali, ciò non deve essere trasmesso al piccolo in nessun caso, poiché è un lavoro di grande responsabilità e i bambini assorbono le emozioni altrui in modo repentino. Esistono inoltre quattro livelli o aree di competenza (Camerini et al. 2011):

1) il nurturing o nurturant caregiving, che include le risposte alle esigenze primarie fisiche ed alimentari ed è particolarmente importante nei caregiver di neonati e bambini piccoli;

2) il material caregiving, che comprende il sostegno all’organizzazione e alla strutturazione dell’ambiente e del mondo fisico dei figli, che è rilevante in età precoci ma che resta, in modi diversi, estremamente importante per i genitori sia di adolescenti che di giovani adulti;

3) il social caregiving, che racchiude i comportamenti messi in atto dai caregiver per stimolare la vita relazionale dei bambini, che supportano lo sviluppo dell’intelligenza emotiva e richiedono maggiore attivazione in alcuni momenti di vita rispetto ad altri in cui è più utile una presenza non interferente;

4) il didacting caregiving, che è un’abilità fondata sui comportamenti che incoraggiano la comprensione del proprio ambiente e che supportano lo sviluppo delle abilità di problem solving.

Una delle prime funzioni delle tate, in quanto caregiver, chiamata in causa nello sviluppo è la funzione protettiva che include tutti quei comportamenti con cui si offrono cure in risposta ai bisogni di un bambino e, in modo particolare, al bisogno di protezione fisica e di sicurezza. Tale funzione si svolge sia attraverso la presenza fisica, visibile e osservabile dal bambino dentro casa, sia mediante la capacità di far sentire la propria esistenza e partecipazione alla vita dei piccoli, facilitando l’interazione di questi ultimi con il loro ambiente.  Di conseguenza, la capacità, da parte dei caregiver , di adempiere sufficientemente alla funzione protettiva genera quell’esperienza relazionale che è stata denominata da Bowlby (1988) “base sicura”, che è in grado di alimentare la capacità di fare affidamento sugli altri quando è necessario. La funzione affettiva della tata in quanto caregiver invece consiste nella capacità di strutturare il cosiddetto “mondo degli affetti” dei bambini conferendo ad esso una qualità emotiva dotata di emozioni prevalentemente positive nell’interazione con il mondo degli adulti con cui si intrecciano legami significativi. Se le tate sono in grado di vivere e condividere emozioni positive insieme ai bambini di cui si prendono cura, ciò contribuisce a costruire un mondo affettivo e relazionale sano intorno a questi ultimi. Inoltre, se manifestano coerenza tra affetti dichiarati e manifestati il risultato sarà lo sviluppo della capacità di “sintonizzazione affettiva”, o sana empatia, cioè di entrare in risonanza affettiva con le altre persone senza venirne contagiati o inglobati. Anche la cosiddetta funzione regolativa è molto importante e si riferisce alla stimolazione, nei bambini e nei ragazzi, di quella capacità di regolare i propri stati emotivi mettendo in atto delle risposte comportamentali adeguate. Tale abilità trova supporto evolutivo nella capacità delle figure di accudimento di fornire iniziali strategie per la cosiddetta “regolazione di stato”(Ammaniti, 2001).

Le competenze comunicative

Il bambino, per il suo sviluppo sano, ha bisogno di vivere quotidianamente situazioni comunicative che siano stimolanti, gratificanti e soprattutto chiare. Infatti, fin dalla nascita il bambino entra in contatto costante con i coetanei ed adulti, tra cui la tata, con la quale trascorre moltissimo tempo e con la quale stabilisce una relazione solida e significativa, comunicando regolarmente, trasferendole informazioni e ricevendole. La comunicazione è fondamentale per gli esseri viventi tanto che Paul Watzlawick, autore del libro “Pragmatica della comunicazione umana”, afferma che è “impossibile non comunicare” (Watzlawick et al., 1971). L’assioma appena descritto, rimanda a pensare ai bambini e a come quando ancora in fasce riescono ad esprimere i propri bisogni o emozioni anche senza conoscere la lingua di origine, ovvero il linguaggio adulto. È importante che la tata offra ai suoi bambini scambi comunicativi adeguati alla loro età, accrescendo in loro curiosità conoscitiva e relazionale.

Il primo passo, per approdare ad un buon intervento comunicativo è sicuramente quello di utilizzare nei confronti del piccolo un “ascolto attivo”, che consiste nel riflettere sul messaggio del bambino solamente recependolo, senza emettere messaggi personali. L’ascolto è fondamentale per divenire individui capaci di apprendere informazioni ed emettere messaggi appropriati alle situazioni. Non vi devono essere accavallamenti di voce o espressioni di dissenso, si ascolta per comprendere, in tal modo il bambino si sentirà accolto e libero di esprimersi. Ovviamente, alla fine si rende necessario un feedback da parte dell’adulto , su ciò che ha compreso e ascoltato. Questo tipo di comunicazione non crea ruoli up o down, si rende necessario quindi insegnare l’ascolto, tacendo ed ascoltando. Il silenzio viene inteso come spazio importante per sostenere l’altro e non come semplice pausa del linguaggio. L’ascolto attivo permette quindi la crescita e un buon sviluppo dell’autostima, favorendo anche una maggiore autonomia, è uno strumento che favorisce l’instaurarsi di un colloquio di comprensione e di chiarezza implementando un agire efficace. Spinge così l’interlocutore a parlare e a esprimere le proprie idee, i propri bisogni e necessità senza difficoltà, gettando così le basi per la costruzione di un rapporto solido e duraturo. I bambini sono spronati a chiarirsi sia cognitivamente che emotivamente su ciò che dicono, riuscendo a gestire situazioni di differente natura. Si può quindi continuare affermando che, l’ascolto attivo non si ferma alla ricezione e alla decodifica del messaggio, ma consta di un altro passaggio fondamentale quello che vede l’incoraggiamento e il supporto dell’adulto (Mastromarino, Colasanti, 1991). Un’ulteriore strategia, prevede l’utilizzo da parte della tata del “messaggio-io”: in questo caso la comunicazione adulto-bambino è basata sull’assenza della valutazione o giudizio, ma pone il bambino di fronte agli effetti e ai sentimenti che il suo atto procura negli altri. Utilizzando il messaggio- io la tata potrà riuscire a gestire una situazione faticosa. Si dovrebbe per tanto sostituire al messaggio-tu, che vede posto al centro dell’attenzione il bambino in modo giudicante, , il messaggio-io dove al centro vi è la tata con i suoi bisogni e le sue emozioni. Quindi il fulcro dell’attenzione non è più il bambino difficile, con il suo comportamento problematico, ma la tata con il suo mondo interiore. Utilizzando il messaggio-io la tata non ammonisce, al contrario si mette in gioco in prima persona, insegnando un nuovo modo di relazionarsi con l’altro. Vi è un’altra tecnica che favorisce lo sviluppo della comunicazione efficace “Il gioco senza perdenti” secondo il quale i conflitti vengono risolti senza che vi siano perdenti. Vengono per tanto rispettati i diritti di tutti senza la presenza di alcuna forma di sopraffazione. In un obiettivo primario si va ad identificare un obiettivo comune, tenendo in considerazione le risorse disponibili tra gli attori coinvolti, tutti partecipano alla risoluzione del conflitto, nessuno escluso. Il conflitto tata-bambino si risolve trovando una soluzione utile per entrambi. Ultimo passo per implementare un intervento comunicativo efficace è l’utilizzo del problem solving, indicato per risolvere controversie tra due o più persone (Boda, 2005).

Le competenze ludico-didattiche

È con il gioco che il bambino esprime realmente il suo “io” e tramite esso si può capire e ricevere importanti informazioni dal mondo infantile. È stata considerata un’attività poco importante o una perdita di tempo per diversi secoli. La svolta si è avuta verso il 1700 quando il bambino non viene più considerato un adulto in miniatura, ma un soggetto con una sua identità. Attraverso il gioco il bambino vive, infatti, l’adulto non dovrebbe mai sminuire questa attività tanto importante per i piccoli. Mai dovrebbe essere considerata una perdita di tempo ( Manz, Bracaliello, 2015).

La tata considerando l’importanza del gioco nella vita del bambino, deve sapere utilizzare e valorizzare al massimo la dimensione ludica, deve saper accogliere lo sviluppo infantile in tutti i suoi aspetti. Il gioco indirizzato dall’adulto o “guided play” può essere efficace nel promuovere l’apprendimento. Questo tipo di approccio prevede un apprendimento centrato sul bambino, che ha un ruolo centrale nella scelta delle attività; il gioco in questo caso è tuttavia introdotto e stimolato anche dall’adulto, che dà il via al processo didattico, stabilisce gli obiettivi e cerca di monitorare il procedimento, mantenendo l’attenzione sugli scopi stabiliti. La tata può fare domande aperte, esplorare i materiali da utilizzare durante il gioco, commentare le riflessioni o giocare assieme al bambino: questo tipo di apprendimento si distingue dal gioco libero (in cui il bambino sceglie scopi e attività autonomamente), ma anche dall’insegnamento diretto dall’adulto (che spiega in modo dominante di fronte al piccolo che ascolta passivamente). In generale, sembra che approcci caratterizzati dalla guida dell’adulto diano strategie di apprendimento più efficaci, ed esiti scolastici più positivi rispetto ad altri metodi, soprattutto in età prescolare. Il bambino infatti ha un ruolo attivo e sente di avere il controllo del processo, è più creativo e flessibile nell’apprendere, è coinvolto ed impegnato (Cera, 2009).

Le competenze educative

Una tata autorevole è consapevole dei propri diritti, ma anche dei propri doveri. Ogni caregiver ha diritto al rispetto e all’ubbidienza da parte dei bambini di cui si prende cura. Ma ha anche diritto ad autonome scelte educative che non possono e non devono essere condizionate dagli interventi esterni, se non in minima parte o quando le scelte educative sono in netto contrasto con quelle dei genitori del piccolo. Per quanto riguarda i doveri, ogni tata ha (Bray, 2010):

  • dovere alla linearità e alla coerenza tra ciò che dice e ciò che fa;

  • dovere di intraprendere insieme al bambino un cammino comune, lento, faticoso;

  • dovere di una posizione che non può essere allo stesso livello del bambino, giacché la necessità di essere ascoltati e ubbiditi gli impone comportamenti e atteggiamenti che non devono confonderlo con il piccolo.

La tata deve avere una grande forza interiore. Quando i caregiver hanno dentro di sé questa forza interiore, possono affrontare serenamente i problemi e soprattutto possono trasmetterla ai piccoli. Quando invece prevalgono la fragilità, la paura, l’inquietudine, l’emotività, l’autosvalutazione, per cui troppo spesso si pensa di commettere degli errori o di aver fallito, allora diventa veramente difficile essere caregiver ma anche trasmettere all’altro qualità che non si possiedono, caratteristiche che non si hanno. Una tata autorevole deve rispettare profondamente il bambino di cui si occupa e dovrebbe dargli un’equilibrata fiducia. Infatti sa rispettare, nel cammino verso la maturità e l’autonomia, la personalità e individualità, la libertà di giudizio del bambino. Non abusa della sua fiducia e credulità. Lo considera importante e ha stima di lui. Ha fiducia nelle sue capacità, possibilità e potenzialità. Al tempo stesso deve farsi rispettare. Il rispetto degli altri, soprattutto verso chi ha una funzione pedagogica e quindi di guida, è essenziale per una buona crescita educativa; quindi è necessario far rispettare il proprio ruolo, non ammettendo che sia canzonato o svilito, poiché ciò stimola il minore ad accettare i propri limiti e i ruoli che sono fondamento d’ogni vivere civile e quindi lo spinge ad impegnarsi e prepararsi ad assumere lui stesso un giorno un ruolo con maggiori onori ma anche con maggiori responsabilità. Un caregiver autorevole sa dare il giusto spazio alla libertà. Uno dei fini basilari dell’educazione è di fare del bambino un futuro uomo libero, cioè un individuo padrone di se stesso, capace di effettuare scelte consapevoli e di assumersi le responsabilità del suo stato, libero da condizionamenti, soprattutto interiori e quindi libero da complessi, traumi, conflitti all’interno della propria coscienza e del proprio Io; libero da un eccessivo orgoglio, dalla superbia, dall’egoismo; libero di realizzare i valori più alti dell’umanità. La tata deve saper dare norme e limiti chiari (Bray, 2010). Fornire un ambiente affidabile che dia regole equilibrate e limiti adeguati consentendo un’espressione emotive, aiuta il bimbo ad esprimere la propria indipendenza e autonomia adeguate all’età e può fornirgli esperienze congrue allo sviluppo e alla crescita (McHale, 2010).

La funzione normativa dei caregiver e perciò anche della tata riguarda la capacità di dare una “struttura di riferimento” e risponde al bisogno fondamentale di bambini e ragazzi di avere dei limiti per dare, attraverso essi, una coerenza e una struttura ai comportamenti e agli eventi con cui ci si confronta. La possibilità dei caregiver di assolvere a tale funzione deriva dal possesso di aspettative realistiche sui bambini sulla base della consapevolezza dei compiti evolutivi di una determinata età, ma si pone anche in rapporto con l’atteggiamento interiore degli adulti di fronte a norme, regole sociali ed istituzioni.

È importante sapere che i bambini siano sempre affidati a persone competenti e capaci, che nonostante mettano la loro personalità e la loro individualità nel rapporto con i piccoli, possano integrare conoscenze e pratiche universali e necessarie al benessere di questi ultimi.

Per informazioni:
Dott.ssa Veronica Cicirelli

Psicologa, Psicosessuologa, Psicoterapeuta in formazione Gestalt Psicosociale.

💌 veronica_cicirelli@hotmail.it

3775374456

 

Riferimenti bibliografici:

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